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BIAGIO CRESCENZO, CEO di CTI FOODTEC

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BIAGIO CRESCENZO: L'ingegnere - inventore DIVERGENTE

"un terzo di educazione, un terzo di buona volontà e passione e un terzo di talento.."
"Ci dovrebbe essere quell'attaccamento al territorio che spinge le persone ad andare fuori, carpire il mestiere e tornare"

​Buon pomeriggio ingegnere Crescenzo. Anzitutto cominciamo col ringraziarla per la sua disponibilità e collaborazione nei confronti di UNI IN STRADA, che come lei ben sa è un’associazione no profit per la promozione di cultura, ricerca, formazione professionale, istruzione ed educazione volta a favorire la ricerca di lavoro da parte di giovani laureati. E’ in quest’ultimo contesto che si inquadra la presente intervista.

Grazie mille a Uni In Strada per avermi invitato in quanto ritengo queste iniziative molto importanti e che, purtroppo, ancora oggi mancano.

D: Cominciamo l’intervista col chiederle un po’ di informazioni sulla sua azienda: di cosa si occupa la sua azienda?

R: La mia azienda, CTI Foodtech, è un’azienda di food machinery. L’Italia è molto competitiva in questo settore.

La mia storia inizia proprio da qua, da Salerno: circa 40 anni fa, un po’ per caso, mi trovavo in Spagna quando la Spagna entrava nella Comunità Economica Europea e mi chiesi se avessero bisogno di un supporto tecnologico. Quindi, insieme ad altri colleghi, mi inventai un consorzio export che produceva macchine e ciò avrebbe dato uno sviluppo a noi e a loro. Così è stato!  

Oggi, ahimè, il mercato della frutta è diventato un mercato limitato, così che la Grecia e la Spagna hanno soppiantato il mercato italiano, infatti in Italia sono rimaste poche aziende, la maggior parte delle quali con macchine nostre; in conclusione da quel momento il processo di lavorazione della frutta migrò verso paesi con più basso costo della manodopera. Fortunatamente la nostra azienda, praticando una delle prime fasi di lavorazione della frutta, la denocciolatura che viene  subito dopo la calibratura, per essere maggiormente competitiva ha puntato molto sull’innovazione tecnologica. Ciò ha dato luogo a una brevettazione internazionale. Noi facciamo la tecnologia,progettiamo e costruiamo macchine, la frutta è del luogo.

 

D: Quanto un’azienda come la sua riceve dal mercato gli input a costruire e quanto occorre saper dare al mercato?

R: Ovviamente, valgono entrambe le cose: il mercato è lì e chiede, ma ci vuole intuito in quanto il mercato va stimolato.

 

D: Com’è costituita la sua azienda?

R: Ci sono 5 ingegneri con ruoli differenti e vari operai tutti diplomati.

D: Come funziona l’iter selettivo nella sua azienda?

R: La CTI Foodtech è una scuola dura e quindi siamo alla continua ricerca.

Per la selezione c’è un’agenzia specializzata che fa una prima selezione a livello di cv. Poi partecipo direttamente ai colloqui e la mia ricetta è semplice, un terzo di educazione, un terzo di buona volontà e passione e un terzo di talento. Però bisogna anche capire che non è l’azienda che sceglie il dipendente, ma è il dipendente che sceglie l’azienda. La motivazione è fondamentale. Una delle cose più importante è il periodo di prova in cui emerge la motivazione.

 

Parliamo di lei…

D: La sua laurea…in?

R: Ingegneria meccanica, mi sono laureato a Napoli.

D: Come ricorda quegli anni?

R: Sono stati anni molto importanti e significativi, durante i quali se hai la fortuna di avere buoni professori ciò ti segnerà per sempre. Ci sono stati professori che mi hanno lasciato il segno per tutta la vita. Non è una laurea semplice e gli esami non mi sono stati regalati. Anche attualmente godo della stima di molti professori.

D: Qual è il suo ruolo nell’azienda?

R: Per passione spesso mi piace mettermi a lavorare coi miei dipendenti anche se l’imprenditore deve restare sempre il supervisor, essere attivo e partecipe con estrema competenza in vari ambiti.

 

D: Si sente più ingegnere o più imprenditore?

R: Ingegnere si diventa, imprenditore si nasce. L’imprenditore rispetto all'ingegnere sa anche pesare il mercato, deve coniugare sempre idea, prototipo e mercato, si interfaccia con varie figure  quindi deve avere più conoscenze trasversali. Mi piace pensare che il mio successo scaturisca dall'essere un po' anche "inventore".

 

D: Lei ha modo di girare per il mondo. Ci sono delle realtà che l’hanno particolarmente colpito? Le differenze tra regioni diverse sono marcate o nel processo di globalizzazione le differenze le fanno gli uomini?

R: L’Italia è un paese provinciale a differenza di altri. Bisognerebbe essere educati al meglio. Ci sta che il mondo è globalizzato ma ci dovrebbe essere quell'attaccamento al territorio che spinge le persone ad andare fuori, carpire il mestiere e tornare. Ciò che manca a noi è la fiducia. La ricchezza si deve creare se no non ce n’è per nessuno.

Parliamo di lavoro

D: Quale figura aziendale ha avuto o ha più difficoltà a reperire sul mercato?

R: L’ingegnere senza dubbio. Bisogna andare fuori ma avere il coraggio di tornare con uno stipendio corrispondente alla moneta locale, e questa è una cosa complessa per l’ingegnere.

 

D: Che cosa cerca(o crede sia importante) in un professionista già avviato nel mondo del lavoro?

R: E’ importante essere in grado di colloquiare a livello tecnico con chiunque, essere volenteroso, propositivo.

 

D: Quali sono gli elementi che maggiormente apprezza di più e di meno in un dipendente?

R: Non mi piace chi fa polemica sterile, pone problemi ma non ha idee. Mi piace l’educazione e l’intelligenza che sarebbe l’adattabilità a situazioni mutevoli.

 

D: C’è un inevitabile scollamento tra università e azienda, e da questa considerazione nasce Uni In Strada. Crede che la formazione iniziale aziendale può essere svolta almeno in parte a scuola o all'università?

R: La CTI Foodtech è una scuola di formazione e dura. Ciò che però ha l’Università e dovrebbero essere sfruttati al meglio sono i laboratori, l’esperienza da laboratorio è molto importante. Tuttavia la formazione scolastica e universitaria deve essere in linea con le esigenza di mercato. Mi hanno parlato di uno strumento per colmare questo gap, l’accademia. Infatti io costituirò un’accademia di apprendisti nella mia azienda, che è uno strumento che ha un’agevolazione fiscale e permette di formare per poi inserire questi professionisti con un aiuto dello stato: gli apprendisti vengono retribuiti e formati in azienda, dopo gli studi, come forse è giusto.

D: Dicono che purtroppo la discriminazione nelle aziende private è molto frequente: verso donne, stranieri, disabili ecc. Come si pone in tale situazione? Come la sua azienda sopperisce a queste problematiche?

R: Io non ho nessuna forma di discriminazione. Quando c’è una difficoltà, in particolar modo di salute, si cerca di venire incontro al dipendente in ogni modo possibile, perché non voglio perderli. Il problema è che io opero su scala piccola, del resto, se tutti fanno il proprio dovere, il giusto, tante opere piccole fanno un’opera grande.

D: Che progetti ha nel futuro?

R: Vorrei poter riuscire a fare solo l’inventore.

 

D: Cosa si augura per la sua azienda?

R: Mi piacerebbe tanto avere il triplo dei dipendenti, sarebbe una grande soddisfazione per un imprenditore. La mia maggiore  soddisfazione sarebbe avere un’azienda con più ingegneri che operatori, ad alto impatto tecnologico. Ma sono in dubbio se avere più aziende con pochi dipendenti o un’azienda con molti dipendenti, in quanto ho paura che molti dipendenti possano contaminare i rapporti interpersonali.

D: Che valore dà al welfare aziendale?

R: E’ fondamentale. Nel mio piccolo il mio  welfare aziendale consiste nell'offrire un pranzo a tutti ogni giorno, organizzare partite a calcetto o ping-pong, che ci sia un ambiente goliardico e amalgamato. Inoltre ci vuole un pò di flessibilità coi dipendenti, ciò ovviamente vale per il mio ambiente che è piccolo.

 

D: Se uno volesse seguire le sue orme come dovrebbe fare e qual’è la cosa più difficile?

R: Ogni volta bisogna vestirsi di tanta umiltà ed essere in grado di ripartire. Per me essere umile non vuol dire essere deciso, saper condurre.

Guardiamo oltre la sua azienda

D: Sui social circola molto un post in cui dicono che il dipendente troppo ‘’intelligente’’, troppo ‘’curioso’’, potrebbe dare fastidio: è meglio chi fa il proprio lavoro senza porre o porsi troppe domande. Qual è la sua opinione a riguardo?

R: Sarò io divergente, ma se conosce persone scartate per questo motivo le mandi da me. Io sono affascinato dall'intelligenza. Mi infastidiscono solo le domande fatte per mettersi in mostra e/o per perdere tempo, non è intelligente chi fa tante domande, importante è la qualità della domanda.

D: Come viene visto in sede di colloquio una persona calma, educata e posata? Con accezione negativa o positiva?

R: Per me l’educazione è un requisito di base perché solo la persona educata può essere ragionevole. Il candidato macho, spavaldo, eccessivamente sicuro di sé a me non piace.

 

D: A consuntivo di ciò che abbiamo detto le chiedo quanto conta l’esperienza in campo vs la preparazione tecnica? In altre parole assumerebbe più un 110 e lode o un 94 con 10 anni di esperienza?

R: Oggi il 110 e lode, i miei dipendenti sono tutti 110 e lode. Perché una persona intelligente e con metodo prima o poi colma il gap. Però il 110 e lode deve essere essenzialmente umile, come detto.

 

Ingegnere la ringraziamo nuovamente per la sua disponibilità e gli importanti spunti di riflessione.

Grazie a Uni In Strada per l'opportunità e complimenti per le vostre iniziative.

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